I TRE ZERI

By Annalisa

 

Siamo quelli che appartengono al Novecento o siamo figli del 2000? Confesso francamente di fregarmene a parte il problema, non secondario, che sono invecchiata di un anno. Si, sono stata al veglione, e nessuno pensava con angoscia all’arrivo della data con tre zeri. Il vestito nero con le bretelline tanto “sexy2, le ciocche dei capelli ramate, mi hanno fatto venire una gran voglia di muovermi fino allo sfinimento. Ho bevuto un bicchiere di vino, gli amici sembravano di più e ho riso di gusto. Il mio Lui grigio e nero vestito, con maglia aderente su pelle, tanto “macho” da perderci la testa. Abbiamo salutato il giorno saltando da una auto all’altra, da un posto all’altro, inquieti e senza pensieri. Sono andata a letto alle sei, e alzata alle due del pomeriggio con un gran mal di testa, e l’odore per casa della psta la forno. Ho cambiato il calendario, mangiato il piatto che ho davanti e scappo nella mia stanza per pensare. Cosa mi aspetto dalla vita in questo nuovo secolo, millennio o come diavolo volete chiamarlo? Vorrei riempire il vuoto dei tre zeri del 2000. No, non preoccupatevi, non mi dura l’effetto del vino. Primo zero. Vorrei che fossimo giudicati per quello che siamo, per le idee che portiamo, anche le “cazzate” che diciamo possono essere importanti se quialcuno ci ascolta senza valutarli subito. Non ci date consigli sempre scontati, per una volta fateci sbagliare e basta con la morale precotta al forno a microonde. Fermi tutti, è arrivata la mia amica. Sta baciando tutti, ha divorato un torroncino ricoperto al cioccolato, si è seduta sugli occhiali di mia madre. Ora è qui, sdraiata sul mio letto e imita la ragazza di mio fratello perchè quando parla sbatte le ciglia. La faccio partecipe dei miei pensieri…ride e dice una parolaccia. Secondo zero. Non parlate sempre di soldi, mi sento una merce. Quanto costo? Ha prezzo una vita? Vediamo di quantificarla. Da piccola sono un soldo di carne ora venti anni mi sembrano un buon investimento, dovrei quotarmi in borsa. E poi che prezzo hanno le mie cose. Le scarpe, l’orologio, il cellulare, i pantaloni, le gonne, il mio ragazzo. “L’amica”- una voce rompe il mio monologo - dai mettimi insieme alle tue cose,- lo dice mentre apre e chiude la “smemo”, quella del 99. Usciamo e ci raccontiamo tutto della sera precedente, a chi non c’era, a quelli che ci sono stati, di quello che ci è sfuggito. E poi chiedo aiuto per l’ultimo zero da riempire. Abbiamo riempito non uno ma mille zeri e alla fine quello che parla poco e sputa sentenze: “gli zeri riempiti sono pieni di io e pochi noi”. Mi fa rabbia, ma ha ragione. E’ il vizio della nostra tribù e francamente non so di chi è la colpa. Forse di mia madre: “fatti i fatti tuoi”. Di mio padre: “pensa a te stessa”. Di me che vivo le mie esperienze in cellule sempre più piccole. Sembriamo la torre dei cellulari, quel pezzo di ferro alto che improvvisamente spunta nelle campagne desolate sulle colline. Captiamo di tutto e non dividiamo nulla. Sono sul depresso, mi cambio esco e mangio un gelato alla faccia della dieta. E’ arrivata la ragazza di un nostro amico dalla Sicilia e siamo tutti seduti al bar e non bastano le sedie, che bel gruppo. Mi sento meglio.

 

PS La mia amica vuole riempire l’ultimo zero. Tanta, tanta intimità. (sono parole sue). Un luogo dove ti puoi baciare con il tuo ragazzo senza scandalizzare nessuno. Un posto al sole se fa freddo e all’ombra d’estate. Senza squallore, senza spossatezza e    la paura che arrivi qualcuno.