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ORLANDO ACCETTA

SCRITTORE, POETA E GIORNALISTA

 


Dimmi cu ccui vai

cà ti dicu quandu vali

di Orlando Accetta

Nell'anno 1983, stampato dalla Tipografia dei Fratelli Occhiato di Pizzo, ho pubbli­cato un libro sui proverbi e modi di dire calabresi, espressi nella sonora «lingua pizzitana».

Trattasi di espressioni che ho sentito sempre vive e presenti nella vita di ogni giorno, per puntualiz­zare, per chiarire, per rendere più incisivo o più credibile un fatto o un discorso. Per quanto sopra scritto e, soprattutto, stimolato dai vari convegni sulla «lingua calabrese» che lo scomparso Don Peppino Scopacasa puntualmente ha organizzato fin quando è vissuto per valorizzare le radici del nostro glorioso passato.

I proverbi, ne sono fermamente convinto, sono realmente la «sintesi della saggezza calabrese» e rappresentano nel loro insieme un «codice comportamentale» della classe contadina o, comunque, delle classi subalterne.

«Dimmi cu ccui vai cà ti dicu quandu vali»

È, inconfondibilmente, la versione dialettale del proverbio italiano «dimmi con chi vai e ti dirò chi sei». Orbene, oggi si fa un gran parlare di amicizie e di amici, attribuendo a entrambi i termini un signifi­cato e un con­tenuto per nulla appropriato e assolutamente opposto a quella che, in effetti, ne è l'es­senza. Si, perché l'essenza, l'immagine, l'icona, il sigillo dell'amicizia è, e deve necessariamente essere, l'attualizzazione della moralità, dell'onestà, della reciprocità, della sincerità, della giustizia. Non v'è amicizia dove manca il senso della giustizia e quindi della reciproca comprensione. L'amicizia non ammette «omologazioni» e «generalizzazioni» (gli amici di Tizio, gli amici di Caio), ma soltanto reciproca stima e reciproco rispetto, nonché massima considerazione nei confronti della morali­tà. Tra gli amici di Tizio, esiste, forse, la giustizia, la moralità, la reciprocità, la stima interpersonale di­sinteressata e non finalizzata, non strumentalizzata, non asservita? O, piuttosto, Tizio non è il Capo e gli amici gli asserviti? C'è, forse, reciprocità tra Tizio e gli amici, e, tra di loro, gli amici di Tizio?

Sappiamo dell'esistenza di tanti falsi amici, legati da vincoli d’interessi, di potere, di clientelismo, d'affari, di comparaggio mafioso e non. Ci sono, ad esempio, gli amici di Forlani, gli amici di Andreotti, gli amici di Craxi, gli amici di Rauti, e poi ci sono gli amici dei delinquenti, gli amici dei mafiosi, gli amici delle sette, gli amici della P2, gli amici...degli amici, e chi più ne sa più ne aggiunga.

Rendendo concreto il proverbio calabrese, che non sbaglia mai, sono convinto che ciascuno di noi, nes­suno escluso, è messo nelle condizioni di ben discernere e quindi di «valutare» il «valore» delle persone, soltanto e semplicemente analizzando criticamente e con attenzione «l'amico... dell'amico». Perché? Ma perché una persona onesta non sarà mai amico di un disonesto, di un mafioso. O non è vero?

Ed allora?! Un mafioso ha per amici altri mafiosi e si fa circondare da paurosi e da conniventi. Un politico corrotto ha per amici altri politici corrotti e raccoglie attorno a se soltanto dei «partigiani» legati da vincoli di utilità personale, per privilegi, favoritismi e protezioni. Un terrorista ha per amici altri violenti e sanguinari. Un malvagio si cir­conda soltanto di complici e di collaboratori disonesti. Un potente si circonda di persone servili e disponibili a ogni genere di «ubbidienza».

Soltanto gli uomini «liberi e virtuosi» saranno circondati da «amici», da veri amici. Qualcuno ha forse dei dubbi su quanto scritto, o ritiene che siano concetti fuori mo­da e, perciò, sor­passati? Costui si vada a leggere il saggio di Francesco Alberoni «L'Amicizia», poi ne riparleremo!

All'Amicu toi pàrrangi chjàru

pàrrangi davàndi e no d'arrèdu

cà d'arrèdu ti sendi 'u culu

Spessissime volte, nella normale conduzione della nostra confusa, disordinata, caotica esistenza, siamo portati a scambiare la «conoscenza» per «amicizia». Invece ci sono so­stanziali differenze tra i due sentimenti umani. C'è tra di loro un abisso, poiché la co­noscenza è un legame alquanto superficiale, non duraturo molte volte, non pre­gnato di reciprocità. L'amicizia, al contrario, pretende l'assoluto, il totale, l'esclusivo, cerca il «bene» reciproco, non desidera la modificazione della personalità dell'altro. Di conseguenza è estremamente valido il concetto espresso dal nostro prover­bio: «All'amicu toi pàrrangi chjàru, pàrrangi davandi e no d'arrèdu, cà d'arrèdu ti sendi 'u culu».

Non v'è dubbio che non può esservi amicizia (si può dire "vera amicizia"?, o non è superfluo specifi­care?) senza reciproca onestà, stima e fiducia, reciproco rispetto, reciproca sincerità di giudizi e di valutazione, senza alcuna riserva.

Tra amici ci si deve dire tutto, in modo aperto, spontaneo, senza remore, ci si deve confidare, sfogare. L'amico è il «confessore» personale, sempre presente e sempre disponibile ad ascoltarci, pazientemente, con attenzione, con trasporto, con «amore», ma anche con «uguaglianza», per instaurare una «serena comunione spirituale».

Allora, è vero: «All'amicu toi pàrrangi davàndi...!».

'A mala numinàta no ssi cogghji

(La cattiva nomea è difficile cancellarla)

Grande scalpore fece uno scippo perpetrato a Napoli, qualche tempo fa, nei confronti di Claudia Cardinale e di suo marito, il regista Squitieri: fatto che ebbe una risonanza tale per cui si scrisse e si parlò per più giorni in tutti i giornali e TV.

Forse è stato anche giusto che così fosse, perché questi episodi devono essere sempre e comun­que condannati e contrastati: dubito, però, che la stessa risonanza avrebbe avuto uno scippo operato in danno "mio" o in danno "tuo", che siamo gente comune e non arcinota.

È la solita storia: certe leggi e certi interventi si fanno per tutelare sem­pre i forti e mai i deboli.

Sempre a Napoli, successe che due top-gun (piloti militari) americani furono arrestati da una pat­tuglia di carabinieri vestiti da borghesi, per essere stati colti in flagranza di reato, mentre borseggiavano una signora ghanese. Ebbene, per tale scippo, si­curamente più riprovevole perché fatto per divertimento e non per uno stato di biso­gno, i mass-media non hanno ritenuto di dover suonare i soliti tamtam.

La notizia, in­fatti, apparve senza darne ecces­siva rilevanza e con pochissime righe. Perciò dob­biamo senz'al­tro convenire sull'attualità e sulla veridicità dell'antico nostro proverbio dialettale: "A mala numinàta no ssi cògghji".

A cui possiamo associare gli altri due seguenti: "A mala numinàta 'a porta 'u vendu". "A numinàta l'hannu 'i buttàni, mendri 'i sandarèji fannu 'i fatti".

Fora d"u culu mio a cu' pìgghja pìgghja

Questo è quanto recita un proverbio calabrese in modo assai appropriato, seppur picaresco e becero, per evidenziare che di tutto può succedere  intorno a noi purché non ci ri­guardi personalmente.

Ed in­fatti, quei giudici del Tribunale di Roma, che nel 2000 misero in libertà un giovane che tentò di violentare una vicina di casa, l'avranno pensata allo stesso modo.

E si! Perché, non trattandosi di una loro donna (madre, figlia, moglie, sorella), hanno potuto permettersi il lusso di fare i buonisti e i garanti­sti (oramai va di moda!), per cui hanno potuto scrivere con tutta tranquillità che "siccome è stato colto da un raptus non era in grado d'intendere e volere".

Ed allora? Il mancato violentatore, che la stessa perizia medico-legale aveva stabilito che avrebbe potuto ripetere l'atto criminoso in qualunque momento, è potuto tornare nella stessa casa, sullo stesso piane­rottolo.

Eppure successe che quel maniaco si è sbottonato i pantaloni, ha buttato a terra la signora e ha confessato di aver programmato per un anno di aggredirla.

Conclusioni: violentate pure chi volete, dite poi di essere stati colti da un raptus e...tornerete a casa liberi e autorizzati a violentare di nuovo.

No ppoi stari cu ddui pedi ‘nd’a ‘nu scarpu

Non sempre i proverbi possono essere applicati alle vicende o situazioni di oggi, ma con un poco di buona volontà si possono rendere attuali interpretandoli e rileggendoli.

"No ppoi stari cu ddui pedi 'nd’a 'nu scarpu" (devi fare una scelta precisa), è un pro­verbio assai popolare e noto in Calabria, frequentemente usato quando ci si trova di fronte a persone indecise e altalenanti, che, per il proprio tornaconto cercano di concre­tizzare qualche fatto o situazione per scopi e vantaggi personali, molte volte sca­valcando le regole, titubando nelle scelte e trascurando gli interessi degli altri o facendo apparire come favore o segno di stima ciò che, in effetti, è sporca e vile strumentalizzazione artatamente costruita e programmata a tavolino.

Il proverbio può essere anche enunciato in positivo, come intimazione: "Hai mu stai cu ddui pedi 'nd"a 'nu scarpu" (devi stare con due piedi in una scarpa, ovverosia, devi stare al tuo posto, non oltre­passare i limiti).

Alla prima versione possiamo associare: "No ppoi mangiàri cu ddui vucchi"; "No sai mangu chi bbòi"; "No ssi no carni e no pisci"; "Dici 'na cosa e 'n'atra ndi penzi".

Proverbi che mettono in evidenza l'ipocrisia, l'indecisione, l'egoismo, l'incoerenza, la riserva men­tale, la falsità, di chi vuole costruire il suo successo, la sua carriera, sulle spalle degli al­tri, fregandosene al­tamente di loro : "Ngi passarìa puru subbra a màm­masa e paìsa”.

Gente rozza, inaffidabile e viscida che, strumentalizzando la buona fede e l'onestà del loro prossimo, lo usano a piacimento. Fino a quando, però, non  incontrano persone "cui palli 'i sutta", “chi ngi ponnu fari 'i scarpi".

 

 

 

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 Giuseppe Pagnotta

 

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