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ORLANDO ACCETTA

SCRITTORE, POETA E GIORNALISTA

 


                         'U Pąpparu

                            (Un personaggio d'altri tempi)

                                   di Orlando Accetta

Per gli anziani di Pizzo «'u Pąpparu» fu certamente una figura arcinota, perché popolana e popo­lare. Isolato, bistrattato e schernito da grandi e da piccoli, fu un personag­gio del tutto particolare: tozzo, di bassa statura, di scarsa intelligenza e, all'occasione, se provocato, portato all'ira.

Veniva chiamato «'u Pąpparu» per il suo modo di camminare sguaiato e sgradevole, paragonabile all'andatura goffa dell'oca, ma anche, e soprattutto, per la sua estrema dabbenaggine.

Non arrecņ mai fastidio ad alcuno. Aveva un misero giaciglio presso «'i mņnachi» sulla Nazionale, in localitą «Parrčra», da dove fu inseguito lo sfortunato re Gioacchino Murat, per essere arrestato alla Marina, nel suo ultimo e disperato tentativo rivolto alla conquista del suo perduto regno, trovandovi poi ingloriosa morte, per mezzo di fucilazione avvenuta nel maniero aragonese, alle ore 21 del 13 ottobre 1815.

               

«'U Pąpparu» viveva di elemosine e di quel poco che riusciva a guadagnarsi con umili servigi che rendeva nelle case e nei negozi. Infatti veniva sfruttato per poche lire ed era comandato a fare la spesa, ad attingere l'acqua fresca alla fonte del «macellu», di «talčrciu», della «fundanģna» o della «fundąna nova», nonché a svolgere mansioni domestiche, quali ramazzare, lavare i pavimenti, togliere la polvere dai mobili, lucida­re i vetri e, finanche, aggiustare i letti. L'unica compagnia su cui poteva contare era quella di "Filģci 'u cecątu", con cui condivideva la stessa sorte.

                                    

                                                         Filģci ‘u cecątu

Visse sempre miseramente ed emarginato da tutti e da tutto, ma il suo isolamento forse fu un'istintiva scelta di vita, finalizzata, seppure senza rendersene conto, ad un approfondimento della conoscenza di sé stesso, dell'uomo, del mondo, del mistero della vita, quindi di Dio.

E se ciņ č vero «'u Pąpparu» non fu un emarginato dalla societą, ma fu egli che, per connaturato sentire, scelse la solitudine come forma di vita appa­gante, attraverso cui riusciva a scoprirsi e a scoprire il suo simile.

Affermo questo per­ché «'u Pąpparu» visse, č vero, appartato, ma fu sempre tra la gente, con gli altri, ren­dendosi utile in mille modi e servendo con umiltą, con impegno, con pazienza, amando il suo essere «solo».

Egli, quindi, ha saputo comunicare con gli altri uomini, trasmettendo dei validi messaggi, quali la pa­zienza, l'umiltą, la rassegnazione, la sopportazione, l'accettazione del proprio stato, il senso della pover­tą, il donarsi agli altri e, credo, l'amore, perché «'u Pąpparu» č stato un uomo che, a suo modo, ha sapu­to amare in senso totale.

 

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 Giuseppe Pagnotta

 

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