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ORLANDO ACCETTA

SCRITTORE, POETA E GIORNALISTA

 



Domenico Cervone, il generale buono

A Roma in Via Tasso, 65 anni fa, per suo merito si scrisse una grande pagina di storia misconosciuta

di Orlando Accetta

Il Generale Domenico Cervone

Con un anticipo di quattro giorni sulla data presunta, alle ore 19.45 dell'8 settembre 1943 fu dato l'annuncio ufficiale dell'armistizio stipulato tra l'Italia di Pietro Badoglio e gli Anglo-Americani. La notizia colse di sorpresa le autorità italiane, originando uno sconvolgimento nei piani difensivi che gli alti comandi andavano approntando in previsione della feroce reazione dei tedeschi. Questi, infatti, procedettero ad aggredire senza indugio le nostre truppe, che furono disarmate quasi in tutti i centri, in particolare approntarono una manovra combinata, tendente ad accerchiare la Capitale, nel mentre il re Vittorio Emanuele III, la regina Elena, il principe Umberto II, il presidente del Consiglio Pietro Badoglio e i Capi delle Forze Armate, alle 5 di mattina del 10 settembre 1943 fuggono ignominiosamente, ormai sicuri, verso Brindisi, imbarcati sulla corvetta "Baionetta", scortata dall'incrociatore "Scipione l'Africano".

Nel pomeriggio del 9 settembre, i rappresentanti dei partiti antifascisti uscirono a Roma con un loro documento: «Nel momento in cui il nazismo tenta di restaurare in Roma e in Italia il suo alleato fascista, i partiti antifascisti si costituiscono in "Comitato di Liberazione Nazionale", per chiamare gli italiani alla lotta e alla resistenza e per riconquistare all'Italia il posto che le compete nel consesso delle libere nazioni». Inoltre, per merito del Colonnello del Genio, Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, eroico ufficiale poi trucidato alle Fosse Ardeatine nel pomeriggio del 24 marzo 1944 insieme con altri 334, i militari rimasti a Roma e non vigliaccamente fuggiti, diedero vita al Fronte Militare Clandestino (F.M.C.). Nella successiva prima decade di ottobre 1943, le bande armate create in tutta la Penisola furono organizzate regionalmente, passando alle dirette dipendenze del Comando Supremo del Regno del Sud, eccetto quelle del Lazio e degli Abruzzi, che restarono agli ordini del Fronte Militare Clandestino.

Eroico protagonista di quella grande pagina di storia romana e italiana fu anche il Generale di Divisione Domenico Cervone, di origini salernitane, mio suocero, che all'epoca dei fatti era un semplice allievo ufficiale del corso di Fanteria della Regia Accademia di Modena, posto a capo di una banda armata clandestina. Dai documenti originali gelosamente custoditi, che a suo tempo ho potuto consultare vincendo l'innata riservatezza del protagonista, rilevo che l'allievo ufficiale Domenico Cervone, dopo l'8 settembre 1943, ricercò i capi dell'organizzazione militare clandestina, chiedendo volontariamente di prestarvi servizio. Fece subito azione di collegamento con l'organizzazione dell'Italia settentrionale e, nel mese di gennaio 1944, assunse il Comando di una banda armata partigiana che ancora era in formazione, organizzandola immediatamente. L'armamento della banda, con armi leggere e pesanti, venne effettuato mediante trasporto di queste da ogni parte di Roma e sistemate in depositi con trasporti notturni: cavi, fili telefonici e telegrafici dei comandi tedeschi furono interrotti continuamente dall'allievo ufficiale e dai suoi uomini in azioni notturne.

In mesi d’ininterrotto lavoro, l'armamento venne completato, provvedendo alla sistemazione delle munizioni in speciali cassette e sacchi. Vennero anche confezionati pacchi di medicazioni e approntato un posto di pronto soccorso in caso di necessità. Ai settanta uomini, divisi in sette squadre di dieci unità, fu abbinata una squadra di guastatori di sei uomini addestrati con lezioni settimanali.

La mattina del 2 maggio 1944, durante un rapporto, fu arrestato dalle S.S. tedesche, dietro segnalazioni d’ignobili spie, e portato nella prigione di Via Tasso, covo del famigerato colonnello Herbert Kappler, diretto responsabile del massacro delle Fosse Ardeatine.

Sacrario delle Fosse Ardeatine

Interrogato per ben tre volte, fornì soltanto nome, grado e numero di matricola, come voleva il regolamento. Lo presero a pugni e a calci, lo torturarono, gli strapparono tutte le unghie del piede sinistro, ma non ottennero una sola parola di più del grado, nome e numero di matricola. Anzi, trasportato da agenti delle S.S. sul campo ove era stata la banda e, all'ingiunzione di scavare ove dicevano doveva trovarsi un deposito di munizioni e di armi, indicò un posto completamente diverso, sprezzante del pericolo cui andava incontro col suo eroico atteggiamento.

Durante l'interrogatorio mantenne un assoluto silenzio circa l'organizzazione. Il mattino del 4 giugno 1944 riuscì a evadere dalla cella in cui era stato rinchiuso, in Via Tasso, assieme ad un capitano e un generale, con i quali, per tutto il periodo di segregazione, non scambiò mai una confidenza, per paura che ci potesse essere qualche infiltrato.

Fu una fuga alquanto rocambolesca, ma drammaticissima. Essi avvertirono un forte odore di bruciato e, nel timore di essere arsi vivi, con una scheggia di legno ricavata dal tavolaccio a castello, riuscirono a spostare l'occhiolino che chiudeva il foro-spia della porta che sbarrava la loro cella. Osservarono attentamente, con grande emozione, il corridoio dove, usualmente, doveva trovarsi il piantone tedesco, ma, con loro somma sorpresa, notarono che non c'era nessuno. Frattanto, l'odore acre e pungente del fumo rendeva irrespirabile sempre di più la misera stanza, dove l'allievo Domenico Cervone e i suoi compagni di sventura si trovavano. Più tardi si scoprì che i tedeschi, fuggendo, avevano dato fuoco a tutti i documenti che si trovavano negli uffici di Via Tasso. Nella toppa, stranamente, c'era inserita la chiave: con grande maestria e tanta fortuna riuscirono a farla cadere sul pavimento, vicino alle fessure della porta. Con la scheggia di legno in precedenza ricavata, l'attirarono dentro la cella e, nel timore di essere scoperti, aprirono la porta, scesero giù, a pianterreno, e finalmente furono salvi.

Domenico Cervone si trovò, quindi, nella vicina Piazza San Giovanni, dove alle ore 18.30, le avanguardie delle truppe alleate sarebbero state accolte trionfalmente. Egli era già in possesso della sua pistola di ordinanza, nel frattempo consegnatagli da una famiglia di amici cui l'aveva data in custodia nei giorni precedenti il suo arresto. Ad un tratto vide una donna passargli davanti che camminava in modo confuso e disordinato assieme ad altri soldati tedeschi. Ma si, era la stessa donna che lo aveva torturato, che aveva contribuito attivamente a strappargli le unghie. Il primo istinto fu di vendicarsi, perciò tirò la pistola fuori dalla fondina, ma non sparò. L'eroe non vive di vendetta, non si nutre di tali meschinità. E poi, egli pensò, anch'essa era una povera pedina nelle mani del regime, manovrata e costretta a fare quelle nefandezze. Ecco, l'odio si affievolì e si trasformò in un’incontenibile nausea, ci fu un po' di smarrimento, poi, forse, il perdono! L'allievo Domenico Cervone, a quel punto rammentò che aveva ben altre gatte da pelare, aveva ancora da portare a termine una missione, interrotta dal suo arresto, e, quindi, ritornò al suo posto di comando: non si dileguò, come tanti altri. Secondo gli ordini ricevuti, presiedette, poi, all'armamento della sua banda e ne assunse il Comando, scendendo, con bandiere in resta, in Via Ostiense. Nelle giornate seguenti operò rastrellamenti di armi e di automezzi abbandonati dai nemici, facendo anche 7 prigionieri tedeschi. Continuò il suo servizio di pulizia fino all'8 giugno 1944, quando, dietro ordini ricevuti, consegnò le armi alla Stazione dei Carabinieri e, finalmente, mise i suoi uomini in libertà.

Il 29 novembre 1954, il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi (eletto l'11 maggio 1948 al quarto scrutinio con 518 voti su 872, prestando, giuramento il giorno successivo, rimase in carica fino al 28 aprile 1955) gli conferì la Croce al Valor Militare, dopo la proposta di medaglia d'argento, con la seguente motivazione: «Appartenente ad organizzazione clandestina armata operante sul fronte della Resistenza, si distingueva per attività, coraggio ed alto rendimento. Designato al Comando di una banda in via di costituzione, provvedeva all'armamento dei suoi uomini e portava a termine brillantemente le missioni operative affidatigli. Tratto in arresto, malgrado fosse stato sottoposto a tortura, manteneva l'assoluto riserbo. Riconquistata la libertà per il tempestivo arrivo delle truppe alleate, riprendeva il suo posto di combattimento riconfermando le sue doti di attaccamento alla causa della libertà e dedizione alla Patria».

Va giustamente annottato che il Generale di Divisione Domenico Cervone, all'epoca dei fatti, aveva soltanto 22 anni. Egli, oggi, riposa nel cimitero comunale di Salerno, dove si è spento all'età di 72 anni il 5 settembre 1994.

Via Tasso: quella strada era il rifugio di Herbert Kappler

 

Edificio di Via Tasso, covo di Herbert Kappler

 

Via Tasso era ed è posta nella periferia del quartiere di San Giovanni in Laterano, dove, in un fabbricato di 5 piani il colonnello Herbert Kappler aveva stabilito il suo covo-rifugio. Verso la fine del mese di settembre 1943, gli appartamenti di sinistra furono destinati a caserma con uffici, magazzini e alloggi per ufficiali e sottufficiali delle S.S. di Roma. Quelli di destra, invece, furono destinati a carcere, organizzati in modo che le celle si trovassero nei piani secondo, terzo, quarto e quinto. Da queste stanze fu bandita perfino la luce del giorno; tutte le finestre furono murate con mattoni e cemento armato, di conseguenza anche l'aria veniva del tutto a mancare, ne filtrava un filo soltanto da un buco di cm 40 X 25, scavato a livello del pavimento e protetto da una grata di ferro.

Nel battente della porta c'era uno spioncino coperto da un dischetto di legno girevole, che permetteva alla sentinella di guardia di controllare i prigionieri in qualunque momento della giornata. Il secondo e terzo piano erano destinati agli uomini, il quarto alle donne, il quinto in parte alle donne e in parte a luoghi per le bastonature.

Al primo piano, nella parte di sinistra c'erano i temuti uffici di Kappler, dove si svolgevano i primi "interrogatori", che si trasformavano ben presto in legnate, pugni, calci e ceffoni. C'era poi una stanza, dove venivano portati coloro che dovevano parlare ad ogni costo, introdotti a calci e spintoni. Qui fu interrogato l'allievo Domenico Cervone. C'erano oggetti e attrezzi di ogni genere: catenelle, uncini, mazzuoli, martelli, fruste, punteruoli, corde pendenti da anelli attaccati al muro e al soffitto. Le vittime venivano tenute per giorni e giorni con le mani legate dietro la schiena e coloro che erano rinchiusi a Regina Coeli, a confronto, dovevano ritenersi fortunati!

 

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 Giuseppe Pagnotta

 

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