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ORLANDO ACCETTA

SCRITTORE, POETA E GIORNALISTA

 


 

Trascorsi 17 anni dall’immane tragedia

Moby Prince

140 vittime innocenti

tra l’indifferenza generale

di Orlando Accetta

Era il 10 aprile 1991 quando avvenne lo schianto del traghetto "Moby Prince", della compagnia di navigazione Navarma con la petroliera "Agip Abruzzo" della Snam, che causò la morte di ben 140 persone, perite nell'immane rogo che ne seguì. Sei giorni dopo quella tragedia i pizzitani dedicarono una giornata di lutto cittadino ai loro quattro concittadini periti nell'incendio di Livorno, per tributare loro l'ultimo saluto di una città provata dal dolore e così duramente colpita. Quella fu una delle poche volte in cui il mare non ebbe colpa alcuna, ma già da allora ci si domandava a chi appartenesse, non credendo alla solita e comoda fatali­tà.

Nell’ottobre 1997, dopo sei anni, di cui due di dibattimenti, il p.m. Carlo Cardi avanzò l’assurda richiesta di assoluzione per tutti gli imputati: non ci fu nessun colpevole, fu soltanto un'immensa tragedia di cui è inutile cercare le responsabilità, questo il responso.

Strana e incomprensibile conclusione di un magistrato che avrebbe dovuto avere il coraggio di andarlo a spiegare personalmente ai familiari delle 140 vittime, ed in particolare alle famiglie di Rocco Averta, Antonio Avolio, Francescantonio Esposito, Giulio Timpano, i quattro lavoratori pizzitani strappati in modo repentino all'affetto dei loro cari.

Tutto si concluse per il p.m. di Livorno, ma le quattro sfortunate famiglie napitine continuano, anche dopo tanti anni da quella tremenda sciagura, a vivere il loro dramma nell'indifferenza anche di una giustizia "ingiusta".

"Questo non è un processo, è una farsa!», affermò giustamente, all’epoca, il presidente del comitato "Moby Prince" Loris Rispoli, e con lui fu d'accordo tutta Pizzo, e non solo.

Il martedì 16 aprile 1991 fu un giorno che i pizzitani tutti ricorderanno sicuramente e per parecchio tempo, perché fu il giorno che Pizzo volle dedicare, quale lutto cittadino, ai suoi quattro figli periti in modo così inverosimile nell'immane rogo di Livorno, per tributare loro l'ultimo saluto di una città prostrata e du­ramente colpita.

Ai funerali, officiati dall’allora vescovo della diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, S.E. Domenico Tarcisio Cortese, furono presenti, oltre al sindaco dell’epoca Gino Betrò che guidava l'amministrazione comunale, il prefetto di Catanzaro, il presidente della regione Calabria, Rosario Olivo, il presidente del Consiglio Regionale, Antongiulio Galati.

Un lungo corteo di circa 7.000 persone, partito dalla Chiesa Matrice di San Giorgio Martire, si snodò per le vie principali della cittadina, fino alla Chiesa di San Rocco e San Francesco di Paola. Da qui, poi, le bare furono por­tate al cimitero comunale, tutto in grande compostezza e assoluto silenzio, nonostante l'enorme folla che seguì commossa i feretri. Un dramma apparentemente si era concluso, un altro dramma, però, si è continuato a vivere fino ad oggi dentro le mura delle sfortunate famiglie orbate dell'affetto prezioso dei loro cari.

Nel mese di aprile 2000, il consiglio comunale dell’epoca, su proposta dell'assessore per la promozione dell'immagine Antonio Burgisano, reduce da Livorno, dove si svolse una manifestazione per ricordare la tragedia della "Moby Prince", osservò un minuto di silenzio per i quattro lavoratori pizzitani, ma si rilevò l'indifferenza e la poca sensibilità della gran parte dei consiglieri riguardo al problema esposto da Burgisano, tanto che lo stesso fu costretto a redarguire pesantemente e più volte alcuni suoi colleghi alquanto distratti e poco inclini ad ascoltarlo.

Infatti, fu necessario un deciso intervento dell’allora sindaco Francescantonio Stillitani, il quale, preso atto della scarsa attenzione per un fatto d’inaudita gravità, propose lo svolgimento di un apposito consiglio comunale aperto.

  

  

Il 10 aprile 2001, ricorrendo il decennale dell’immane rogo della Moby Prince, presente una delegazione dell’amministrazione provinciale vibonese guidata dal vice presidente Paolo Barbieri, si svolse a Livorno una commovente manifestazione.

Fu, infatti, il 10 aprile 1991 che occorse l'enorme tragedia della nave traghetto "Moby Prince", comandata dal capitano Ugo Chessa, , che, in rotta di collisione con la petroliera "Agip Abruzzo" della Snam, fu causa della morte di 140 persone, scomparse nella tremenda fiammata che ne seguì.

La Calabria ebbe ben undici morti, di cui sei della provincia di Vibo Valentia: quattro di Pizzo e due di Parghelia. Tre originari di Siderno, uno di Gioia Tauro, uno di Santa Sofia d'Epiro.

Francesco Tumeo e Francesco Mazzitelli, cognati tra loro, erano di Parghelia. Rocco Averta, Antonio Avolio, Francescantonio Esposito, Giulio Timpano, i primi tre sposati e l'ultimo ancora celibe, erano di Pizzo.

Il dieci aprile 2001, appunto, nella ricorrenza del decimo anniversario di quel nefasto giorno, la città di Livorno organizzò una manifestazione apposita per ricordare degnamente tutti quei morti. Partecipò anche una delegazione della provincia di Vibo Valentia, con il gonfalone, guidata dal vice presidente Paolo Barbieri, con la partecipazione anche dei due assessori provinciali napitini, Franco Falcone e Joseph Feroleto De Maria, e di quello di Monterosso Calabro, Vito Ceravolo.

La cerimonia si svolse in due distinti giorni, ma il più significativo fu senz'altro quello del dieci aprile, quando ci fu, alle ore 10.30, la messa in cattedrale celebrata dal vescovo, Monsignor Diego Coletti, cui, alle ore 15.30, seguì la convocazione nella sala consiliare col saluto del sindaco di Livorno alle autorità e ai familiari degli scomparsi. Alle 17.30 un corteo si mosse dal piazzale "Vittime del Moby Prince" fino al Porto Mediceo, dove sessanta gonfaloni si posero attorno alla lapide sul muraglione della Dogana, con incisi i nomi delle 140 persone che la sera del 10 aprile 1991 persero la vita.

Il tutto culminò con la deposizione di una corona personale del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.

Il massimo della commozione si raggiunse quando, come ogni anno, i familiari delle vittime gettarono una rosa in mare in segno di saluto e di rimpianto per gli affetti perduti in modo così repentino, dopo che il presidente del comitato Moby Prince, Loris Rispoli, lesse uno dopo l'altro, i nomi di tutte le 140 vittime, facendo rabbrividire i presenti. E il sindaco di Livorno, Gianfranco Lamberti: «Ora possiamo raggiungere la banchina per gettare le rose rosse in mare». A seguire, poi, uno due, mille colpi di sirena dei rimorchiatori e delle navi in ormeggio.

Tanti gonfaloni municipali, provinciali e regionali provenienti da tutt'Italia, tantissima gente con la faccia rigata di lacrime, mentre il sindaco Gianfranco Lamberti giustamente tuonò: «Non nascondiamo l'amarezza per certe spiegazioni che ci aspettavamo e che non sono arrivate. Siamo qui per il rilancio forte di una battaglia per la verità, perché 140 persone non abbiamo perduto la vita invano».

E il vescovo Coletti: «Non posso sindacare l'operato di altri che onestamente e con capacità hanno indagato sull’immane tragedia, ma l'impossibilità di penetrare il velo che nasconde quanto è accaduto, riafferma, dopo dieci anni, una verità: quella di un dolore che non può essere archiviato».

Appunto! Un dolore che si rinnova perennemente e continuamente anche se sono trascorsi ben diciassette anni.

 

 

 

 

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 Giuseppe Pagnotta

 

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