Curcio Giorgio

 Pizzo, 29 aprile 1833 - Roma, 16 dicembre 1934

 

Uomo politico di primissimo piano, giureconsulto sia in Italia che all'estero. Compi gli studi dapprima a Pizzo e Vibo Valentia e poi all'università di Napoli dove studiò scultura, belle lettere, scienze naturali. Discipline che abbandonò quando scopri l'amore per la giurisprudenza che studiò avvalendosi dei migliori professori di quell'università, allora florentissima. Addottoratosi, fece pratica civile con Liborio Romano (futuro ministro di Francesco Il e di Garibaldi) che lo ebbe in carissima amicizia. A Napoli, aveva cominciato ad esercitare la professione con ottimo successo quando l'attentato al Re da parte del calabrese Agesilao Milano, lo costrinse ad interrompere forzatamente la carriera. Con molti Calabresi fu incarcerato nei castelli di Napoli ed in seguito, riconosciuta la sua estraneità all'accaduto, liberato, dovette rientrare a Pizzo e vivere sotto la sorveglianza della polizia borbonica perché “elemento sospetto”. Nel 1860 l'amico Liborio Romano, allora ministro, si ricordò di lui e gli offri il posto di Consigliere di Prefettura. Curcio ringraziò, ma rifiutò. Fra 260 concorrenti vinse, col massimo dei voti e stupendo la commissione d'esame per l'ingegno dimostrato, un posto di pretore. Cosi cominciò la carriera di magistrato. Perugia, dove fu presidente di tribunale, gli dette la cittadinanza. Chiamato presso il Ministero, ne diresse ed organizzò l'ufficio delle statistiche giudiziarie. In seguito ricopri le cariche di Consigliere di Corte d'Appello di Napoli, Presidente della Commissione Plenaria di Statistica Civile, relatore della Commissione per la revisione del secondo libro del Codice Penale. La sua carriera politica si sviluppò cosi: deputato XVI Legislatura (10. VI. 1886 al 3.8. 1880), eletto nel 20 collegio di Catanzaro; deputato XVII Legislatura (10.12. 1890 al 27.9.1892), eletto nel 20 collegio di Catanzaro e solo la morte gli impedì di continuare nel campo ove non volle prendere parte “agli intrighi ed agli armeggi partigiani”. Le sue pubblicazioni furono in gran parte tradotte in francese e giova qui ricordare le più importanti opere, che gli valsero la stima di scienziati e cultori della materia tanto che molti furono quelli che lo eressero a proprio maestro. Esse sono: “lettere sul codice civile”, “Studio sulle persone sospette”, “Programma di una statistica dei culti”, “Gli omicidi in Italia”, “Dalla Statistica giudiziaria in Italia, comparata con quella di Francia”, “Osservazioni e proposte intorno al progetto del secondo libro del Codice Penale in Italia”.