LE
CHIESE RUPESTRI DELLA PUGLIA
I
monaci basiliani in Puglia: tecniche di scavo e dell’affresco
Introduzione
Fin dall'antichità più remota l'uomo ha utilizzato la grotta come riparo
dalle intemperie e dai pericoli dell'ambiente. Essa rappresentava non
solo l'abitazione, ma anche il luogo per deporre e venerare i propri
defunti, mentre per il senso dell'arcano, del misterioso e dell'ignoto
che da sempre infonde nello spirito umano, è stata collegata con il
soprannaturale e quindi scelta come luogo di culto della divinità. Per
queste ed altre funzioni furono utilizzate dapprima cavità naturali
prevalentemente di origine carsica; successivamente si avvertì la
necessità di adattare questi luoghi alle diverse esigenze che man mano
divenivano più specifiche. Si cominciò a dotare questi ambienti,
originariamente inospitali, di quelle relative comodità che di volta in
volta si rendevano necessarie. Laddove le cavità naturali non erano più
sufficienti od addirittura erano assenti, l'uomo incominciò a scavare
ex-novo degli ambienti in roccia, sempre che la morfologia del suolo lo
permettesse.L'abitudine di scavare è stata conservata per secoli e
millenni, anche se altre tecniche di costruzione si andavano affinando e
sviluppavano forme di architettura costruita molto evoluta. Si
distinguono le grotte naturali da quelle scavate artificialmente
dall'uomo: per queste ultime è opportuna una ulteriore distinzione in
base alla morfologia dell'habitat in cui sono ricavate.
Nei
casi più spettacolari, rappresentati dai villaggi arroccantisi sui
fianchi di montagne, di gravine o di lame, si utilizzerà il termine di
rupestre, ad indicare il fatto che lo scavo viene realizzato utilizzando
una parete in rupe offerta dalla particolare natura del suolo. Laddove
la morfologia del territorio non offra naturalmente questi fianchi, come
avviene nelle zone pianeggianti, è l'uomo che crea artificialmente dei
fianchi verticali da cui procedere per ricavare i vani che intende
realizzare.Tali fianchi li ottiene con uno scavo verticale verso il
basso delimitante un cratere di ingresso generalmente di forma regolare
-atrio- unico verso l'esterno; il livello di campagna viene raccordato
da una rampa.Per distinguere quest'ultimo tipo di insediamento si
utilizzerà pertanto il termine di ipogeo.
La
Puglia rupestre è protagonista soprattutto durante l'età medievale. Sono
due le situazioni storiche connesse a questo processo: da una parte il
diffondersi del monachesimo greco, o meglio italo-greco, con un continuo
altalenare tra un tipo di anacoretismo o di eremitismo esicastico ed un
tipo di comunità lavriotica o cenobitica; dall'altra la politica tesa al
ripopolamento delle campagne voluta dai bizantini in seguito alla
seconda colonizzazione dell'Italia meridionale (seconda metà del X
secolo).Sono soprattutto i monaci i primi abitatori di grotte nel
medioevo. Questi, insediandosi negli bruschi valloni delle gravine o
riparandosi nelle rientranze delle lame, hanno scavato le prime chiese
ed affrescato con i loro santi le ruvide pareti ipogee. Intorno a queste
strutture eremitiche e cenobitiche si sono formati in seguito i primi
agglomerati rupestri, abitati da coloni che non necessariamente
abbracciavano un ordine religioso, ma del tutto indipendenti ed
autosufficienti per ciò che concerne l'organizzazione sociale e
produttiva.
Tecniche di scavo
Abbiamo già accennato alle svariate utilizzazioni della grotta intesa
come abitazione, luogo di culto, luogo per seppellire i morti ed ancora
come luogo per svolgere le varie attività lavorative. Questi esempi sono
soltanto alcuni di quegli elementi che caratterizzano l'"urbanistica
rupestre".
In
questa si ritrovano oltre ad alcune strutture di quelle che oggi
rientrano nel concetto di urbanizzazione primaria - quali strade di
accesso, scalinate di raccordo, spazi e terrazzamenti comuni- anche
alcune di urbanizzazione secondaria: tra queste prevale la chiesa a
volte accompagnata da un'area cimiteriale con tombe a fossa allineate,
non necessariamente in grotta.
A
servizio delle unità abitative, costituite per lo più da uno o due vani
intercomunicanti, in cui l'abitazione veniva spesso condivisa con
l'animale da soma, l'asino o il mulo, troviamo spesso elementi quali
l'alcova, il camino, la cisterna, fovee per depositi di derrate
alimentari od altro. Ingegnosi sistemi di canalizzazione permettevano la
raccolta delle scarse acque meteoriche evitando nel contempo fenomeni
noiosi come lo stillicidio sull'accesso della grotta e l'allagamento
dell'interno.
Spesso in diretto collegamento con l'unità abitativa vi è l'ambiente di
lavoro, una grande camera scavata per ospitare le attività connesse alla
trasformazione dei prodotti agricoli o quelle relative alla pastorizia.
Le attività lavorative delle popolazioni dei villaggi rupestri in
gravina erano in prevalenza basate sulla pastorizia, anche se non
mancavano altre attività agricole, testimoniate dalla presenza di fovee
per la conservazione dei cereali, di pietre levigate per la macinazione
del grano, di grosse macine per l'estrazione dell'olio, realizzate a
volte direttamente nel sito durante la fase di scavo della roccia.
Questa varietà di funzioni ha richiesto di conseguenza differenti
progettazioni, differenti tecniche di scavo, differenti gradi di
rifinitura. Negli insediamenti medievali, una fase progettuale precede
sempre quella realizzativa: e questo avviene anche per gli ambienti meno
nobili. Spesso nei santuari rupestri la ricercatezza architettonica è di
notevole qualità; schemi planovolumetrici delle chiese costruite vengono
riprodotti in grotta.
Nella fase di scavo vengono così accuratamente risparmiati colonne,
capitelli, paraste, finte trabeazioni e decorazioni dei soffitti. Schemi
classici delle chiese ad aula unica, con o senza abside circolare, o a
pianta basilicale, a tre o più navate, vengono ripresi ed adattati
all'ambiente ipogeo prendendo spesso la caratteristica forma a ventaglio
espediente utilizzato per sfruttare al meglio l'illuminazione esterna.
Probabilmente per gli artefici di questa architettura in negativo non si
può parlare di autentici maestri, quali le maestose cattedrali
romaniche.
Si
ripete spesso che scavare è più facile che costruire; i problemi statici
sono risolti già dalla compattezza del banco tufaceo, la costruzione
delle volte non necessita di armatura, e così via. Ciò nondimeno questi
maestri scavatori dimostrano precise cognizioni degli sviluppi
planimetrici e volumetrici degli ambienti, il tutto basato sul principio
della estrema funzionalità. Negli ambienti culturali lo schema
architettonico ha una derivazione colta legata alle vie del monachesimo
ed ai canoni della liturgia bizantina o latina.
Riferimenti storici
sull'iconoclastia
La
Chiesa sin dalla sua nascita come fede religiosa ha sempre praticato il
culto delle immagini sacre, quindi fin da principio come provano i
dipinti ritrovati nelle Catacombe. In Oriente la venerazione delle icone
divenne fanatismo, infatti durante le alcune funzioni religiose i
sacerdoti raschiavano i colori dagli affreschi, li miscelavano al vino
per distribuirlo ai fedeli dopo la funzione religiosa.
Tale
pratica era così estrema che Ebrei e Musulmani appellarono i Cristiani
idolatri e iconolatri.
Nel
726 d.C. per arginare il fenomeno, l'imperatore Leone III l'lsaurico
usurpando alla Chiesa il diritto di legiferare in proposito ordinò la
distruzione di tutte le immagini sacre. L'azione che fece insorgere il
popolo di fede cristiana fu la distruzione di un'immagine di Cristo
molto venerata che era dipinta su una delle porte di Costantinopoli.
L'imperatore rispose alla rivolta con una durissima repressione
deponendo persino il Patriarca Germano che si era opposto, mentre i
soldati Imperiali danneggiavano, raschiavano e demolivano le immagini
perseguitando anche i difensori del Cristianesimo.
Tale
devastazione della Chiesa continuò con Costantino Copronimo, fino a che
l'Imperatrice Irene vi pose termine convocando nel 787 d. C. Concilio a
Nicea. Leone l'Armeno riprese la persecuzione nell'815 d.C. e continuò
fino all'842, quando l'imperatrice Teodora permise di onorare le
immagini.
I monaci basiliani
arrivano in Puglia
Verso il secolo VIII d.C. si verificò un massiccio esodo di monaci
venuti dall'Oriente che nelle terre pugliesi trovarono riparo in seguito
alla lotta iconoclastica. Frequenti sono le testimonianze nell'Alto
Medioevo, di forme di vita monastica ispirate a ideali ascetici
francescani della cultura e della religiosità orientali. I monaci di
provenienza greco-orientale, si dispersero nelle campagne vivendo in
grotta.
Intanto maturarono i contrasti tra la Chiesa latina e quella greca. I
monaci benedettini fondarono nuovi monasteri; i monaci basiliani
stimolarono nuove esperienze religiose di cui oggi resta testimonianza
della vita nelle grotte decorate da affreschi in cui trovavano rifugio i
fedeli.
Il
monachesimo a quel tempo cercava nella vita ascetica il contatto diretto
con Dio. Nella regola di San Basilio la vita cenobita rappresentava la
forma di convivenza perfetta. I beni erano in comune e l'ideale era
scoprire la misura tra la vita attiva e la vita contemplativa per
raggiungere Dio e salvare l'anima.
I
centri monastici nascevano nelle grotte, le quali divennero luogo di
culto e di pellegrinaggio.
L'ordine monastico dei Basiliani proveniva dall'Oriente e si ispirava
alla regola di San Basilio (arcivescovo di Cesarea di Cappadocia 329 -
379 d.C., padre della chiesa greca, detto il Grande), la quale oltre
alla preghiera e alla contemplazione, doveva realizzarsi in atti
concreti e produttivi, parimenti all'ordine dei Benedettini: diffusione
dell'ulivo, della vite, della vallonea (tipo di castagna da cui si
otteneva farina) e della trimina (un cereale). Ammiriamo ancora gli
ulivi secolari, piantati nel IX - X secolo dai monaci basiliani.
I
centri monastici più conosciuti ancora in buono stato di conservazione
in Puglia sono:
presso Giudignano la cripta del Salvatore; a Gravina di Puglia, in una
gola, la singolare Chiesa-grotta di San Michele dei Grotti, interamente
scavata nella roccia, si celebrano i riti nei giorni di San Michele l'8
Maggio e 29 Settembre; sopra sorge la Grotta di S. Marco che conserva
resti di ossa umane forse dovute a una strage Saracena del 983; presso
contrada PADRE ETERNO (Gravina di Puglia) la chiesa-grotta della Madonna
della Stella, scavata nel tufo; insediamenti di chiese rupestri in gran
parte affrescate, nei dintorni di Laterza; numerose grotte scavate nel
tufo della Gravina di S. Marco, a Massafra, costituiscono uno dei più
importanti insediamenti basiliani arrivandovi si può ammirare la barocca
scalinata (125 gradini) che porta al santuario della Madonna della scala
ricavato intorno a un antica cella che orbitava un anacoreta il cui
affresco (XII sec.) è stato collocato sull'altare Maggiore; la cripta di
S. Antonia abate, scavata nella roccia e completamente affrescata; la
cripta di S. Marina; la cappella-cripta della candelora con affreschi
duecenteschi e scritte greche e latine; la chiesa cripta di S. Marco, la
più importante e la meglio conservata tra tutte le chiese rupestri
pugliesi (l'unico affresco che conserva raffigura i SS Cosma e Damiano e
risale al XII sec).
Le
chiese rupestri in Basilicata nel materano sono: la chiesa di S,
Barbara, scavata nella roccia con affreschi del 200; la chiesa di S.
Gregorio con cattedra intagliata nella roccia tufacea; S. Pietro in Loma
con misteriosi graffiti di epoca probabilmente medioevale; la Chiesa
allo Iazzo Gattini; S. Maria della Valle, scavata direttamente nel tufo,
dalla facciata romanica; la Madonna delle tre Porte affrescata, la
Madonna della Croce; S. Maria de Idris e S. Pietro Barisano.
La tecnica
dell'affresco
I
primi storici a trattare la tecnica dell'affresco furono Vitruvio e
Plinio che descrissero le pitture murali di Pompei e di Roma. Anche se
si conoscono affreschi del periodo Ateniese, tuttavia si ha la certezza
che uno dei primi artisti ad essere ricordato per questa tecnica fu M.
Ludio Elotta nell'anno 20 a.C., epoca dell'imperatore Augusto.
In
uno dei passi di Vitruvio si legge tra l'altro che l'intonacatura per i
muri è costituita da "tre strati di calce e sabbione […]" "seguita
poi da "calce e polvere di marmo fresco […]". Il processo
dell'affresco si basa sulla proprietà della calce di dar luogo, insieme
alla sabbia e l'acqua, a un composto nel cui strato superficiale
vetrificato, al momento dell'essiccazione, rimane fissato il colore.
Il pittore dovrà considerare i cambiamenti dei colori al momento del
passaggio dal bagnato all'asciutto da parte dell'intonaco e scegliere
quindi i momenti più opportuni per la stesura del colore a corpo e le
velature.
L'affresco è una tecnica di pittura murale che si esegue su un intonaco
fresco, fatto di calce e sabbia. I colori utilizzati sono dei pigmenti
naturali diluiti in acqua.
L'affresco é costituito da più strati distinti:
-
l'arricciato
costituito da un misto di calce spenta e sabbia grossa
-
l'intonaco
costituito da calce spenta e sabbia fine ben setacciata
-
l'affresco
vero e proprio, costituito da pigmenti diluiti in acqua applicati
velocemente, in più strati, con un pennello
-
la calcina
L'ultimo
strato, una crosta vetrosa, é il risultato della carbonatazione della
malta di calce che disidratandosi produce un involucro protettore
trasparente che ingloba i pigmenti e li fissa definitivamente. Infatti
la calce mescolata ad acqua e sabbia si indurisce progressivamente a
contatto con l'anidride carbonica dell'aria formando carbonati.
L'indurimento ricostituisce in parte il calcare d'origine formando
carbonato di calcio che fissa i colori dell'affresco. La calce spenta Ca(OH)2
si combina con l'anidride carbonica dell'aria (CO2) e riforma il
carbonato di calcio (CaCO3) secondo la reazione chimica: Ca(OH)2 + CO2 =
CaCO3 + H2O.
I
monaci Basiliani hanno sempre privilegiato la tecnica dell'affresco per
meglio far comprendere il loro kerygma. Una delle caratteristiche
tecniche dell'affresco bizantino è il tracciamento delle linee
principali del disegno sull'intonaco fresco, con l'ausilio di una punta
di legno o d'osso, l'intonaco da affrescare é levigato prima
dell'applicazione dei colori, non dopo, come avviene nelle tecniche più
recenti.
La
levigazione preliminare comporta una risalita dell'acqua della calce in
superficie e costringe l'artista a un lavoro rapido ma, allo stesso
tempo, garantisce una maggiore nitidezza dei tratti e potenza espressiva
dei colori; per questo gli affreschi realizzati dai monaci basiliani
sono giunti sino a noi conservando colori brillanti e compatti.
Bibliografia
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fascia ionico-lucana, Studi Lucani, Galatina (LE), 1976;
Enciclopedia UTET, Vol. VI, p. 111;
ETTORRE O., Fonti per lo schedario e la storiografia delle badie di
Basilicata dell'ordine benedettino, s.v. Castelsaraceno, n. 31, p.
9, Matera (MT), 1987;
HOUBEN H., Monasticon Italiae III, Puglia e Basilicata, p. 215,
Cesena (FO), 1986;
NARDONE D., Notizie storiche sulla città di Gravina, Bari (BA),
1942;
NICOLETTI M., L'architettura delle Caverne, Bari (BA), 1981;
VENDITTI A., Architettura bizantina in Italia meridionale, p.
879, Napoli, (NA), 1967.
Fonte : Domenico Nanna
Il
Santuario di San Michele Arcangelo di Montesantangelo
Le cripte sono le parti più interessanti e più antiche del
Santuario, recentemente restaurate negli anni
cinquanta-sessanta. Anticamente servivano come ingresso dei
pellegrini alla grotta stessa, ma a motivo delle costruzioni
angioine, incominciate sul finire del XIII secolo, queste
furono abbandonate, per far spazio alle nuove aperture che
nel frattempo la nuova configurazione della Basilica aveva
preso. Sono state rinvenute, sulle pareti delle cripte,
alcuni caratteri runici, segno di un antico ed importante
flusso di pellegrini provenienti soprattutto dal Nord Europa
fin dall'epoca longobarda. Alcune di queste iscrizioni,
opportunamente studiate negli anni settanta, hanno fatto
datare la costruzione della Basilica micaelica di Puglia in
un lasso di tempo che oscilla tra il VII e l'VIII secolo,
decretandone, archeologicamente, la fondatezza di quanto i
documenti cartacei, precedentemente presi in considerazione,
già asserivano. |
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Alla sinistra dell'altare è stato ritrovato un affresco, anticamente
protetto da lastre di pietra, raffigurante il Custos Ecclesiae,
attribuito al X secolo. Questo elemento artistico, unitamente alle
iscrizioni murarie, testimonia sempre più l'importanza che il Santuario
di San Michele ha avuto nel passato, soprattutto durante il dominio
longobardo, popolo barbaro ma che ha da subito apprezzato il culto
micaelico al punto da esserne i maggiori diffusori del culto
dell'arcangelo in tutta Europa. Le grotte sono separate dall'attuale
struttura muraria definita dagli storici "Costruzione Angioina", datata
negli anni a cavallo tra il 1270 e il 1275: da quel momento in poi
l'assetto del santuario assume i luoghi e le forme che noi oggi vediamo.
Le
cripte sono composte da due ambienti le cui strutture si sono realizzate
in due momenti successivi l'una all'altra. Esse si sviluppano per una
lunghezza di circa 60 metri: la prima parte delle cripte assume la forma
di una galleria porticata, composta da 8 campate a forma rettangolare.
In questo ambiente, opportunamente allestito, sono state esposte le
sculture rinvenienti dagli scavi archeologici del Santuario stesso e
dalle Chiese ed Abbazie del circondario, prima fra tutte quella
benedettina di Santa Maria di Pulsano. I reperti sono databili a partire
dal VII secolo fino al XV secolo: l'attuale museo testimonia l'antichità
e il prestigio del luogo in cui sono esposti.
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