I CONVENTI E LE CHIESE RUPESTRI DELLA CAPPADOCIA .

Frammiste alle caratteristiche abitazioni, lungo tutto il per­corso da Ei Nazar a Teledjlar, sorgono i più importanti gruppi di monasteri e di chiese rupestri, considerati dagli studiosi come una unica manifestazione archeologica medievale, cui fu dato il nome di « Chiese rupestri di Gòreme »

Chiese e monasteri furono scavati in gran numero fin dal tempo di S. Basilio da Cesarea, sotto l’impulso del monachesimo che, in Cappadocia, si diffuse e prosperò con grande rapidità, favorito dalla tradizionale religiosità del luogo e dal suo carat­teristico aspetto orografico e geologico, che offriva l’ambiente ideale per una vita di mistico raccoglimento e di ritiro spirituale.

In tempi successivi, quelle plaghe desertiche dovettero inoltre offrire sicuro asilo alla difficile vita dei monaci, continua­mente esposta a vari pericoli di carattere storico-religioso: l’eresia monofisita, le scorrerie arabe, gli editti iconoclasti, la monacomaclia e le invasioni turche. I conventi, il cui numero è ancora imprecisabile, hanno quasi tutti la stessa pianta e la stessa caratteristica: sono scavi profondi nella roccia, con progetti architettonici completi di celle, cappelle, sale di riunioni, refettori, cucine, dispense, ecc.

Essi sorgono in genere intorno alle chiese, anch’esse in numero notevole, sparpagliate in tutta la zona.

A Gòreme il monastero più grande si trova presso una delle chiese più caratteristiche: la Toqale Kilise. Verso Urgiip, nel centro di una massa tufacea dall’aspetto rudimentale di un gran­de anfiteatro, sorge una rupe di forma conica: lo « Chateaux des Vierges », uno dei pochi monasteri femminili, detto di Qezlar.

La porta era costituita da un macigno di pietra durissima e pesante, come una enorme ruota, dal diametro di circa 2 metri e dallo spessore di circa 30 cm.

Essa, rotolando, veniva incastrata tra la parete e alcuni pilastri laterali, anch’essi scavati nella roccia, in modo da formare un blocco ermetico ed invalicabile.

Un altro importante monastero è scavato nella costa sco­scesa della « Karaniek Kilise », o « chiesa oscura ».

Di esso si vede ancora, benché semidiroccata, l’architettura interna: in basso la sala delle grandi riunioni, con i muri de­corati; in alto un ambiente molto più raffinato di cui rimane solo una parete incavata ad arcature cieche.

Dietro vi è il grande refettorio, con il tavolo di roccia e i sedili di pietra. Un pesante macigno, come quello del monastero di Qezlar, divideva l’ambiente in due parti, sicché il piano terreno poteva restare isolato, per mezzo di questa massiccia chiu­sura incastrata tra i pilastri.

La porta e la gradinata di accesso sono crollate insieme alla parete sinistra ed oggi si accede all’interno mediante una scaletta di ferro.

Contrariamente alle cappelle, i monasteri si riconoscono ancora dalle facciate grandi e decorate con diversi ordini di arcature, oppure dalle grandi dimensioni e dalla disposizione delle sale.

Vi sono poi numerosissimi conventi più piccoli, fino a quelli per singoli anacoreti: nude grotte di pochi metri quadrati, con le immancabili nicchie, scavate nelle pareti, con la funzione di altarino o di mensole per tenere le cose più indispensabili: qualche sinassario, la lampada, il pane, l’olio ecc.

Altre grotte conservano ancora impianti primordiali di palmenti e di frantoi con enormi presse di pietra.

Ciò conferma non solo l’operosità dei monaci del luogo, ma anche il loro tipo di nutrimento e le colture agricole cui dedicavano le loro fatiche giornaliere: la vite, l’olivo, il frumento, ecc.

Le numerosissime chiese rupestri mostrano all’interno, una varietà architettonica e decorativa simile alle normali chiese in muratura del secolo IV-V  fino a quelle del sec. XII-XIII: sono basiliche a navate rettangolari, a tre navate, a croce libera e a croce inscritta nel quadrato, secondo lo stile bizantino.

Vi si trova anche un tipo che ‘sembra caratteristico della Mesopotamia Superiore: una navata rettangolare più larga che lunga con la volta a botte e con l’asse perpendicolare a quello della chiesa.

All’esterno le decorazioni sono molto semplici: qualche fre­gio al di sopra della porta, ma più spesso nessun ornamento. Superato l’ingresso, talvolta mimetizzato, l’interno presenta co­lonne, archi, volte, cupole, nicchie, cappelle e absidi scavati nel tufo secondo fogge architettoniche simili a costruzioni murarie.

Sono sorprendenti rivelazioni, che racchiudono la storia di una civiltà, ivi fiorita per secoli .

Le pareti sono intonacate e decorate da pregevoli pitture che in generale si considerano del periodo IX-XIII sec., anche se quasi tutte coprono affreschi di précedente fattura, forse ante­riore alle persecuzioni iconoclaste.

Molti fregi decorativi lineari o floreali appartengono pro­prio all’epoca iconoclasta, in cui la divinità era rappresentata dalla croce, variamente decorata.

Tali espressioni pittoriche sopravvivono ancora accanto agli affreschi di datazione posteriore, raffiguranti scene evangeliche, agiografiche o immagini di martiri e di profeti.

Lo studio di queste manifestazioni architettoniche e artistiche sono più che mai eloquenti per la ricostruzione della tormentata storia della Cappadocia.

Scrive il Neri: « La storia delle comunità cristiane in Cappadocia, più che dagli scritti è raccontata dalle pietre stesse: storia di villaggi e di cenobi, di movimenti spirituali e di dibattiti teologici.

Nelle rocce, nelle pitture e nei graffiti, si legge il prevalere della iconoclastia o della dottrina ortodossa, riguardo al culto delle immagini; il fiorire o il decadere del monachesimo; la sua fedeltà all’ideale basiliano o il suo paradossale rovesciarsi in quel   tipo eremitico che S. Basilio giudicava « illecito e pericoloso »  in rapporto ai vari momenti storici e culturali che influenzarono le forme architettoniche e lo stile pittorico degli artisti trogloditi è possibile soprattutto stabilire, sia pure con una certa approssimazione, la datazione delle chiesette.

Però bisogna tener presente che alcune di esse, rimaste più a lungo in possesso dei cristiani anche dopo la conquista musulmana, continuarono ad essere restaurate ed affrescate con fogge architettoniche e pitture sovrapposte sicché non è facile stabilirne l’età.

Pare che i monumenti più belli e più completi siano da attribuire al X sec., cioè, al periodo in cui gli Arabi furono respinti al di là della Cilicia e si intensificarono le relazioni artistiche e culturali con la capitale Costantinopoli: allora l’influenza bizantina divenne più evidente sia nelle strutture architettoniche sia nelle decorazioni pittoriche delle cappelle

Le scene relative a quell’epoca rappresentano isolatamente i principali misteri liturgici, corrispondenti alle feste più solenni, raggruppate non in ordine cronologico, ma secondo rapporti teologici.

I soggetti ricordano i grandi mosaici bizantini dell’epoca, anche se le figure presentano una semplicità ed una rozzezza ben diversa dall’arte raffinata ed elaborata delle basiliche di Costantinopoli.

Fra le centinaia di monumenti rupestri, tre esemplari presentano particolare interesse architettonico ed artistico: la Tokale Kilise, la Karanlek Kilise e la Elmali Kilise.

 

 

 

La Tokale Kilise è forse la più importante e, in parte, la più antica chiesa rupestre della valle di Gòreme  il suo nome secondo lo  studioso orientalista G. de Jerphanion  significa « chiesa bouclè », termine suggerito forse da un ornamento circolare, che si trova sulla volta della seconda parte dell’edificio.

La facciata, forse un tempo assai decorata, è andata per­duta a causa dei continui smottamenti del tufo; l’interno si com­pone di tre ambienti: la vecchia chiesa, scavata in tempi più re­moti; la nuova chiesa, di forma rettangolare ed una piccola cap­pella ad essa adiacente sul lato Nord.

Nella parte primitiva della chiesa, di datazione incerta, che ora funge da nartece, gli antichi affreschi, sovrapposti in regi­stri, raffigurano scene ed episodi evangelici, che si succedono senza intervalli, da sinistra verso destra, secondo un ordine cro­nologico, che culmina sulla volta a botte, con la glorificazione di Cristo.

La nuova chiesa, scavata sul retro della vecchia cappella, risale forse alla metà del sec. X.

« Le sue decorazioni infatti sono nel migliore stile bizan­tino dell’epoca ».

Anche l’architettura è più ricca e più movimentata: sullo sfondo, tre grandi absidi corrispondenti alla navata centrale ed alle altre due laterali; a sinistra, una serie di archi con un colon­nato che comunica con la cappella più piccola; a destra ancora una serie di arcature cieche non simmetriche con quelle dirim­petto, tuttavia abbastanza armoniose.

La volta centrale, a botte, è trasversale ed è la più grande che si sia trovata finora in Cappadocia.

Le absidi sono separate fra loro da coppie di colonne, nei cui interspazi, sono scavate delle nicchie di forma semicircolare.

Fonte: Felicia Lacava Riparo <<Dominazione  Bizantina e Civiltà Basiliana nella Calabria prenormanna>> Edizioni PARALLELO 38 di Reggio Calabria.

 

 

 

LE CHIESE RUPESTRI DEL MATERANO,  DELLA PUGLIA E DELLA CALABRIA.

 

 

 

Chiesa rupestre Materana